Uscita terzo volume: Ta’anìt
È con grande gioia e orgoglio che possiamo annunciare che il terzo volume, edito dalla casa editrice “La Giuntina” e curato da “Michael Ascoli”, Ta’anit è da oggi disponibile in libreria e online. È stato un lavoro lungo che ha visto l’impegno di numerosi traduttori che, aiutati dal nostro software, hanno raggiunto questo importante traguardo.
Tratto dall’introduzione al trattato di Ta’anìt:
“Il digiuno, come forma rituale ebraica, esprime la contrizione dell’ebreo di fronte a una disgrazia che ha colpito o minaccia di colpire la collettività o un singolo. È uno strumento di teshuvà, di ritorno al Signore. Con ciò l’uomo sancisce che quanto avviene non è casuale, bensì opera di Dio e conseguenza delle nostre azioni.
Il digiuno è la pratica che i Maestri hanno stabilito per adempiere il comandamento biblico di invocare il Signore qualora vi sia una minaccia incombente o quando si sia già stati colpiti. Il digiuno rimarrebbe privo di significato se non fosse accompagnato dalla preghiera e dall’analisi scrupolosa del proprio operato, tutte componenti essenziali del processo di teshuvà. L’istituzione del digiuno è quindi strettamente correlata con eventi che possono accadere o non accadere: siccità, carestie, pestilenze, guerre. Ai tempi della Mishnà e del Talmud, la minaccia maggiore e più frequente era quella della mancanza di pioggia. Pertanto il trattato si apre con questo argomento per poi estendere la disanima agli altri casi.
Vi sono poi digiuni fissi, legati a eventi storici, alla memoria collettiva, nei quali si aggiunge anche la componente del lutto. Così abbiamo, come tuttora in uso, i digiuni relativi alla distruzione del Bet haMiqdàsh (il Tempio di Gerusalemme), che ricordano l’inizio dell’assedio, la breccia nelle mura, la distruzione stessa. Quello che commemora la distruzione del Tempio cade il 9 di av e è caratterizzato da rigori molto stringenti. A questa categoria appartiene anche il digiuno di Ghedalià, colui che era stato a capo dell’ultimo scampolo di indipendenza ebraica dopo l’inizio della cattività babilonese.
Brani di Aggadà, cioè insegnamenti morali, non strettamente normativi, sono una caratteristica dell’intero Talmud. Nel presente trattato ve ne è una particolare abbondanza, a suffragare l’idea che i premi e le disgrazie devono essere intesi come ricompense e punizioni, conseguenti alle azioni dell’uomo. Si può guardare al trattato di Ta‘anìt con nostalgia per la perduta immediatezza nel rapporto con il divino: la correlazione così netta e diretta fra meriti e pioggia ovvero colpe e siccità ci sembra oggi appartenere a una dimensione lontana, propria di individui dalla statura non più eguagliabile; la dipendenza così forte dalla pioggia per la sopravvivenza, almeno per una parte della popolazione mondiale ivi compresa quella che risiede in Israele, appare storia passata. Oggi la giornata-tipo stabilita dai Maestri del Talmud per i digiuni non è più in uso. Ciò è evidentemente il frutto di una mutata percezione delle nostre capacità, come singoli e come comunità. Si veda in dettaglio la nota di Halakhà all’inizio del secondo capitolo (p. 15a).
Il trattato di Ta‘anìt contiene quattro capitoli, per ognuno dei quali si può identificare un tema principale:
– Cap. 1: le piogge, i loro tempi; quando stabilire digiuni nel caso non ne cadano o non ne cadano abbastanza, o non nei momenti in cui serve;
– Cap. 2: le preghiere e gli usi propri dei giorni di digiuno;
– Cap. 3: le circostanze in cui si fa digiuno;
– Cap. 4: i digiuni fissi in ricordo di eventi tragici e giorni nei quali non si indice un digiuno in quanto giorni di festa o almeno di celebrazione di eventi positivi ai quali il digiuno non si addice.
Nel cap. 2 e più diffusamente nel cap. 4 si tratta delle rappresentanze rispettivamente di kohanìm, di leviti e del popolo, dei loro turni di servizio o presenza al Bet haMiqdàsh e di cosa dovessero fare in quelle occasioni.
Il trattato si conclude con un’immagine bucolica, la descrizione festosa dei giorni più felici dell’anno: il 15 di av e Yom Kippùr, occasioni nelle quali le ragazze, vestite a festa, uscivano nelle vigne e cercavano di conquistare i loro futuri mariti.”