Introduzione al trattato Rosh haShanà

Il trattato Rosh haShanà (Capodanno) fa parte dell’ordine Mo‘èd della Mishnà, ordine dedicato alle problematiche legate alle varie ricorrenze e festività. Diviso in quattro capitoli, il trattato si occupa delle tematiche relative al calendario e al capodanno, in particolar modo della procedura utilizzata per fissare la nuova luna e sul suonare lo shofàr, il rito più caratteristico, visto che la ricorrenza è definita nella Scrittura come “il giorno del suono dello shofàr”, e il giorno del “ricordo del suono dello shofàr”. Più dettagliatamente, il primo capitolo affronta l’argomento del calendario introducendo i vari capodanni (ognuno con una sua funzione par- ticolare: per i re, per le feste, per la shemittà, per le decime, per i voti, per gli alberi), proseguendo poi con le regole legate alla testimonianza dell’inizio del nuovo mese, che occupano anche tutto il secondo capitolo; il terzo capitolo tratta delle regole connesse con il precetto di suonare lo shofàr e infine il quarto si occupa delle varie regole relative alla festa del Rosh haShanà.
Uno degli argomenti principali di questo trattato è la consacrazione del nuovo mese su cui si regola il calendario ebraico. L’argomento, molto complesso, merita alcune illustrazioni preliminari.
Il calendario ebraico è basato sulla luna e sul sole. La durata dei mesi è stabilita in base al ciclo lunare. Un intero ciclo lunare dura, secondo il calcolo dei rabbini (preciso dal punto di vista astronomico) ventinove giorni, dodici ore, 44 minuti e 3 secondi. Minuti e secondi vengono indicati dai Maestri nella forma di 793/1080 parti di ora (essendo il numero 1080 un intero divisibile per 2, 3, 4, 5 e 6).
Per comodità un “mese” dovrebbe essere un intervallo costituito da un numero intero di giorni ma è anche, per definizione, il periodo compreso tra due noviluni. Da qui la necessità di alternare mesi di 29 giorni (che vengono definiti “mancanti”) con mesi di 30 giorni (definiti “pieni”). Se un ciclo lunare durasse precisamente 29 giorni e mezzo, si potrebbe semplicemente alternare un mese “pieno” e uno “mancante” per poter pareggiare i conti.
Tuttavia la presenza di un resto mensile di circa 44 minuti e particolari regole che stabiliscono in quali giorni possano cadere alcune feste rendono più complicata la suddivisione, per cui la durata di qualche mese viene portata dai “normali” 29 a 30 giorni o viceversa. A complicare ulteriormente la situazione interviene anche il carattere stagionale (e agricolo) di molte festività ebraiche che impone di evitare sfasamenti tra il calendario lunare (che stabilisce in che giorno del mese cadono le festi- vità) e il calendario solare (che lega le feste alle stagioni). Semplificando al massimo, l’anno solare, di 365 giorni 5 ore e 48 minuti, è più lungo di quello lunare costituito da dodici mesi lunari (circa 354 giorni e 8,8 ore).
Lo scarto tra i due tipi di anni è di quasi 11 giorni, e accumulandosi ogni anno farebbe sfasare le date delle feste, in particolare Pèsach, che è legata alla primavera. Per questo è necessario introdurre ogni tanti anni un mese aggiuntivo; il mese aggiuntivo si colloca tra shevàt e adàr e prende il nome di adàr rishòn (“primo adàr”) mentre l’adàr originale prende il nome di adàr shenì (“secondo adàr”; è in questo secondo adàr che si fanno cadere le festività che durante gli anni di dodici mesi cadono nell’unico adàr). L’anno in cui viene aggiunto il mese viene detto “embolismico”.
Le ragioni in base alle quali le autorità centrali decidevano di aggiungere un mese a un determi- nato anno erano varie, ed erano collegate anche pieno mancante alle condizioni metereologiche dell’anno in corso. La regole per la durata del mese (29 o 30 giorni) e l’aggiunta di un mese venivano gestite e trasmesse con molta discrezione dalle autorità (si parla di Sod ha‘ibbùr , il segreto dell’intercalazione).
I Maestri dei tempi della Mishnà conoscevano perfettamente la durata del ciclo lunare e sapevano anche che diciannove anni contati in base al calendario solare corrispondono a diciannove anni e sette mesi contati in base al calendario lunare: quindi, per mantenere l’allineamento, in un ciclo di diciannove anni ci dovevano essere sette anni ai quali si doveva aggiungere un mese.
Il testo del nostro trattato racconta come la proclamazione del nuovo mese veniva fatta dall’autorità rabbinica centrale del popolo ebraico, il Sinedrio, in base a dichiarazioni raccolte da testimoni oculari; in pratica chi avvistava la nuova luna si recava a Gerusalemme e lo riferiva al tribunale che, dopo aver accertato la validità della testimonianza, bandiva pubblicamente l’inizio del nuovo mese e diffondeva la notizia in tutto Israele e nei paesi più vicini della Diaspora. Il meccanismo si attivava nel trentesimo giorno a partire dal novilunio precedente; se in quel giorno i testimoni arrivavano affermando di aver visto la nuova luna e la loro testimonianza veniva accettata, quel giorno era proclamato capomese (Rosh chòdesh) del mese successivo, mentre il mese precedente si considerava di 29 giorni.
Se invece i testimoni non arrivavano, il mese durava 30 giorni e quello successivo iniziava nel trentunesimo giorno dal novilunio precedente. In tempi remoti le comunicazioni venivano fatte da Gerusalemme con segnali luminosi da un monte all’altro, ma il sistema fu sabotato da gruppi settari dissidenti; si passò allora all’invio di messaggeri. Tutti i dettagli di queste procedure, dall’accoglienza dei testimoni alla partenza dei messaggeri, sono discussi in questo trattato. 

Si tratta in sostanza di testimonianze molto antiche ma che si riferiscono a procedure ormai non più in uso già ai tempi della redazione del Talmud Babilonese. Infatti, dal quarto secolo il calendario veniva ormai fissato in base a regole di conteggio automatico stabilite ufficialmente dal Nasì Hillèl figlio di rabbì Yehudà Nesià (detto anche Hillèl secondo) nel 359 E.V. circa. L’adozione di queste regole fu impo- sta dalla dispersione del popolo ebraico e dalla progressiva perdita di potere dell’autorità centrale – il Sinedrio – che fino a quel momento aveva deciso, momento per momento, la definizione del calendario. Le regole per una definizione automatica erano in realtà già da lunghissimo tempo a conoscenza dei Maestri, ma questi avevano scelto di non utilizzarle, preferendo il sistema antico in cui il calendario veniva fissato “in tempo reale” ricorrendo ogni volta alle testimonianze oculari: e questo anche per adempiere al comandamento biblico “Questo mese è per voi il capo dei mesi” (Es. 12:2), sottolineando così il ruolo umano e della autorità rabbinica in una questione tanto delicata e complessa, con tante variabili imprevedibili. 

lI capodanno / i capodanni 

Il calendario annuale così stabilito non può fare a meno della identificazione del suo inizio, il capo- danno; ma siccome in un evento ciclico l’inizio è una convenzione, possono esistere più capodanni, a seconda delle circostanze che si considerano. Il trattato si apre appunto con la descrizione dei diversi capodanni, ognuno dei quali dà inizio a un conto dif- ferente, e ne discute la fonte scritturale. Comunque, dato che esiste ormai un capodanno più importante, quello di fine estate-autunnale del 1° di tishrì, nel corso della trattazione quello diventa l’argomento del trattato; e dato che la celebrazione di quel giorno si accompagna a una norma particolare, il suono dello shofàr, se ne discutono tutti i dettagli; infine si dedica attenzione alle preghiere speciali della giornata.
Dal punto di vista della struttura, dei metodi e dei temi, questo è un trattato prevalentemente giuridico, in cui le discussioni cercano di chiarire sistemati- camente i singoli temi introdotti dalla Mishnà. La tabella che segue contiene alcuni esempi indica- tivi delle diverse tipologie di brani e discussioni e mostra come, per quanto di dimensioni relativa- mente ridotte rispetto a altri trattati, e con una scelta di argomenti piuttosto concentrata e solo in parte attuale, il trattato di Rosh haShanà rappresenti un campione significativo e interessante delle molteplici facce con cui si presenta la letteratura talmudica. 

Riccardo Shemuel Di Segni 
Curatore